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Un uomo di cera ha acceso un fuoco nel mio cuore

Aug 02, 2023

La narratrice di “Dialogo con un sonnambulo” di Chloe Aridjis, la storia che dà il titolo alla sua raccolta del 2023, è una giovane donna solitaria che lavora in un negozio di mobili. Nel passaggio di apertura, intraprende una “passeggiata post-cena” senza meta. Sono le undici passate, le strade sono quasi vuote e quando passa un sacchetto di plastica, lei lo segue. "La borsa di plastica, insubordinata, sembrava intenzionata a resistere al destino delle altre borse lungo la strada", quindi questa borsa è un perfetto emissario del mondo immaginario unico di Chloe Aridjis. Il vento cala, ma la borsa galleggia, "sospinta da una corrente misteriosa", conducendo la narratrice per strade che non ha mai percorso prima, finché non incontra un uomo oscuro che le parla con una "voce ragnatela".

Qui mi sono fermato a riflettere sulla voce ragnatela e ho anche provato a parlare con una di esse, il che in qualche modo mi ha fatto sentire più trasportato nella storia, un osservatore invisibile. La prosa di Aridjis, con la sua delicata precisione ed evocatività, le sue espressioni e atmosfere volutamente antiquate, possiede una straordinaria persuasività viscerale. L'uomo chiede al narratore se conosce la strada per un bar chiamato Eschschronaque, uno di quei misteriosi bar nascosti di Berlino. Quando la sua porta segreta si apre, il gypsy punk risuona all'esterno. In questo bar attende il Sonnambulo.

Un disagio erotico è alla base del desiderio del protagonista di un legame romantico, e sebbene la storia sia ambientata nella Berlino di circa vent'anni fa, Aridjis evoca epoche precedenti del romanticismo e dell'espressionismo tedesco. La giovane donna ha due corteggiatori, uno dei quali è un manichino di cera alto e di una bellezza glaciale che può svolgere lavori domestici come ogni buon golem (o marito ideale), ma possiede e risveglia bisogni più potenti. Gli ingranaggi emotivi della storia si muovono inevitabilmente e misteriosamente, creando una sorta di wunderkammer narrativo in cui potresti ritrovarti a fissare come in uno specchio da incubo.

– Francisco GoldmannAutore di Monkey Boy

L'inverno ha la città nella sua morsa e alle tre e quarantacinque i lampioni si riaccendono, gettando su ogni cosa una luce tenue. Giorni magri, con poco attaccamento a parte le lunghe ombre e le foglie ostinate, giorni che diventano difficili da misurare una volta arrivato novembre. Eppure questo è sempre stato il periodo dell'anno che preferisco, quando una certa solitudine aleggia nell'aria e da un momento all'altro tutto tace, tranne i graffiti.

Avevo lavorato nel mio nuovo lavoro da poco più di cinque mesi. La maggior parte dei pomeriggi passavano senza troppi incidenti e osservavo da lontano le altre commesse che si adagiavano sui divani, lo showroom nel loro salotto, scambiandosi storie a basso volume. Tempo determinato o tempo pieno: in base a questa distinzione e ad alcune altre mi hanno escluso.

Così passavo il tempo osservando l'orologio che avanzava e la porta immobile oppure sfogliando pagine di campioni di tappeti. Il nostro unico cliente abituale era un anziano reumatico che veniva a provare le varie poltrone e poi diceva che sarebbe tornato con la moglie. Nessuno sembrava interessato a ciò che avevamo da offrire: sedie girevoli in otto colori, poltrone in tre e divani dalle curve che avrebbero calmato gli animi più turbati. Una sera, dopo l'ennesima giornata immobile, ho deciso di fare una passeggiata dopo cena.

Avvolta nel mio cappotto di lana blu mi sono avventurata in strada, al freddo, al vento. Erano le undici passate e in giro c'era poca gente, e quelli che erano scomparsi nei loro cappelli e sciarpe, meno volto che accessorio. Ho girato a sinistra e poi a destra, valutando i vantaggi di entrambe le direzioni. A sinistra c'era una strada trafficata, a destra una più tranquilla. Un sacchetto di plastica è volato via. Ho deciso di seguirlo. Il vento lo sferzò, poi lo risucchiò giù, poi lo sbattè in una direzione e nell'altra. La borsa mi condusse nella strada più tranquilla, dove l'unico altro pedone era una figura con un impermeabile strappato, uno di quegli angeli oscuri della città che appaiono come ologrammi solo per scomparire un secondo dopo.

Il sacchetto di plastica, insubordinato, sembrava intenzionato a resistere alla sorte degli altri sacchetti che costeggiavano la strada. Il vento era calato eppure non voleva calmarsi, ora sospinto da una corrente misteriosa. Ancora e ancora. L'ho seguito da una strada all'altra, prendendo strade che non avevo mai percorso. Dopo qualche minuto mi sono stancato di seguirlo e ho deciso di voltarmi. Mentre giravo l'ultimo angolo mi imbattei nella figura con l'impermeabile strappato. Uno di noi, o forse entrambi, stavamo camminando in tondo.